Iva e Commercio elettronico indiretto

15/04/2018
Iva e commercio elettronico   como

Le attività di commercio elettronico sono suddivise, sotto il profilo IVA, in due tipologie:

a) E-commerce diretto: commercio online di beni virtuali o servizi erogati con modalità elettronica (ad esempio: realizzazione di siti internet, servizi di hosting e similari, download di software, informazioni, testi, immagini, servizi di banche dati, ecc.);

b) E-commerce indiretto: commercio di beni materiali con spedizione tradizionale (vettore), ma con “vetrina virtuale”, conclusione del contratto di vendita su sito internet ed eventuale pagamento effettuato su piattaforma web.

E’ su questa seconda tipologia di commercio elettronico che si vuole soffermare il presente contributo, senza pretesa di esaustività e focalizzando il punto di vista del venditore Italiano.


E-COMMERCE INDIRETTO

Prima di qualsiasi considerazione ulteriore è bene subito analizzare tale attività in relazione a quello che è il primo requisito minimo per poter considerare tale attività soggetta ad Iva.

Mi riferisco in particolare all’utilizzo possibile da parte di privati cittadini del canale web per la vendita di loro beni personali (es. Ebay, Subito ed altri marketplaces) o per scopo collezionistico non lucrativo. In questi casi la cessione occasionale, non organizzata di beni personali (dismissione patrimoniale) oppure l’intento collezionistico non speculativo non fanno acquisire soggettività Iva a colui che le effettua e pertanto l’intera operazione/attività resta fuori dal campo di applicazione dell’Iva.

Sceverato il campo con questa premessa doverosa, ci concentreremo sull’esercizio di commercio elettronico indiretto, organizzato ed abituale, e quindi condotto come attività d’impresa. E-commerce che non deve per forza essere attività esclusiva, ma può essere esercitato contestualmente alla normale attività commerciale (es. negozio tradizionale) quale strategia di penetrazione di nuovi mercati o per raggiungere nuovi consumatori, ormai sempre più orientati all'acquisto tramite il canale telematico.

Analizzando l’attività di commercio elettronico indiretto svolto in modo imprenditoriale si esaminano i principali profili Iva da considerare:


Fatturazione:

Da questo punto di vista l’e-commerce indiretto viene per legge assimilato alle vendite per corrispondenza pertanto ai fini della certificazione dei corrispettivi l’emissione della fattura NON risulta obbligatoria, se non è richiesta dal cliente al momento dell’effettuazione dell’operazione (e non oltre), ai sensi dell’art. 22 del D.P.R. 633/1972 (“Legge Iva”).

Ai fini della certificazione dei corrispettivi NON necessiterebbe neppure l’emissione di scontrino, né di ricevuta fiscale come previsto dall’art. 2, c. 1, lett. oo) del D.P.R. 696/1996.

E’ bene subito però sottolineare che non si è in qualche “angolo di paradiso” Iva, infatti comunque restano obblighi connessi alla corretta individuazione delle cessioni effettuate, in particolare:

  • annotare l’operazione di vendita sul registro dei corrispettivi; 
  • istituire, oltre al registro dei corrispettivi, l’apposito registro delle fatture emesse così previsto dall’art. 23 del D.P.R. 633/1972, nel caso in cui siano emesse fatture; 
  • emettere il documento di trasporto (D.D.T.) di accompagnamento dei beni venduti (quando non scortati da fattura accompagnatoria).

Dalla concreta esperienza di ogni giorno l’operatività di siti di commercio elettronico può condurre alla gestione di numerosissime operazioni di cessione è pertanto di estrema importanza per l’imprenditore scegliere il più opportuno documento di certificazione standard delle vendite, od anche strutturare un sistema di certificazione dei corrispettivi composito e personalizzato sulla propria clientela e sulle propria tipologia di business:

1) la fattura di cessione è lo strumento più completo e che genera anche meno problemi nella gestione degli eventuali resi. Bisogna infatti ricordare che nel commercio elettronico è frequentemente utilizzato dal compratore il diritto di recesso che deve essere contrattualmente accordato quale facoltà all’acquirente (nelle vendite a distanza). L’emissione di una nota di credito (nota di variazione ex art. 26 del D.P.R. 633/1972) consente lo storno dell’operazione da annullare con relativa semplicità operativa.

Ma la fattura porta anche con se requisiti di compilazione che costringono il venditore a raccogliere dati personali che non sempre l’acquirente è così propenso a dare. Mi riferisco in particolare al codice fiscale (da indicare obbligatoriamente in fattura anche per i clienti privati italiani). Altre volte i dati forniti non sono corretti e possono costringere a “rincorrere”, spesso infruttuosamente, il cliente per richiedere integrazioni o correzioni di dati evidentemente errati. La questione potrebbe rivelarsi ancor più pesante quando si arriverà all’emissione obbligatoria delle fatture elettroniche, che potrebbero venire rifiutate dal sistema SDI dell’Agenzia Entrate, quando vi fosse indicato un codice fiscale incoerente. 

La soluzione in questo caso potrebbe essere l’inserimento di un algoritmo di verifica della correttezza formale del codice fiscale nella interfaccia di raccolta dati del cliente, ma quante volte si perderebbe un acquirente spazientito o privo della disponibilità al momento del proprio numero identificativo?

D’altro canto la fattura immediata potrebbe essere anche accompagnatoria della merce inviata, consentendo di evitare l’emissione del documento di trasporto.

2) Nel caso di scontrino o ricevuta fiscale viene evidentemente meno la raccolta di molti dati del cliente, ma soprattutto del codice fiscale, di cui innanzi abbiamo spiegato la delicatezza. In tali situazioni l’Agenzia delle entrate, con la risoluzione n. 274/E/2009 ha ritenuto che per recuperare l’Iva sui resi di merce, nell'ambito delle attività di commercio elettronico di beni che non comportino l’obbligo di emissione di fattura, scontrino o ricevuta fiscale, il contribuente debba fornire la documentazione che consenta di individuare gli elementi necessari a correlare la restituzione al medesimo bene risultante dal documento – che la società è tenuta a conservare – probante l’acquisto originario, quali:

  1. le generalità del soggetto acquirente; 
  2. l’ammontare del prezzo rimborsato; 
  3. il “codice” dell’articolo oggetto di restituzione; 
  4. il “codice di reso” (quest’ultimo deve essere riportato su ogni documento emesso per certificare il rimborso). 

È altresì necessario che dalle risultanze delle scritture contabili di magazzino (ove obbligatorie), sia possibile verificare la movimentazione fisica del bene. L’art. 12 del D.M. 23/3/1983 consente l’indicazione nello scontrino fiscale di “eventuali rimborsi per restituzione di vendite (Ris. A.d.E. 86/07).

Vale la pena ricordare che nell’ambito dei rapporti Business to Business (B2B - tra operatori economici) le operazioni di compravendita dovranno essere certificate con fattura, unico documento che consente all'acquirente di detrarre l’Iva sull'acquisto.

E’ inoltre da considerare l’aspetto psicologico per il cliente nel caso si opti per l’esonero dal rilascio di qualsiasi certificazione dei corrispettivi. Egli infatti potrebbe non percepire la regolarità fiscale dell’operazione oppure ancora non capire chiaramente le modalità di esercizio eventuale della garanzia prodotto che normalmente si fonda proprio sul possesso del documento di acquisto.


Operazioni con l’estero 

Viste le semplificazioni Iva previste per il commercio elettronico svolto verso clienti italiani, è importante capire quali modifiche operative siano necessarie quando i clienti siano esteri, privati (B2C – Business to consumer) od operatori economici (B2B – Business to Business).

A) Cessioni verso clienti domiciliati o residenti nell’Unione Europea

A.1) Clienti soggetti ad Iva che operarono come soggetti business

In questo caso verrà emessa fattura per la vendita, ma senza addebito dell’Iva italiana, in quanto operazione “Non imponibile ad Iva art. 41, D.L. 331/93”. La spedizione sarà a cura del venditore dal magazzino italiano verso il cliente finale intracomunitario, con conservazione di copia di tutti i documenti che proveranno l’avvenuto invio e incasso, oltre alla relativa fattura. Da tale operazione discendono poi gli ordinari obblighi di annotazione della fattura emessa negli appositi registri Iva e di riepilogo di tali operazioni nel modelli Intrastat (ove soggetto obbligati).

A.2) Clienti privati cittadini comunitari

Anche in questo caso la norma di riferimento è l’art. 41 del Decreto Legge già citato. In generale le vendite B2C nella UE sono soggette all’applicazione in fattura dell’Iva ordinaria Italiana fintantoché “l’ammontare delle cessioni effettuate in altro Stato membro non ha superato nell’anno solare precedente e non supera in quello in corso 100.000 euro, ovvero l’eventuale minore ammontare al riguardo stabilito da questo Stato”.

Eliminato il campo dalle eccezioni previste (merci soggette ad accise, mezzi di trasporto nuovi e beni da istallare, montare o comunque da assiemare), sulle altre cessioni di beni con spedizione curata dal venditore Italiano si dovrà applicare pertanto l’Iva italiana (con aliquota italiana) in fattura a meno che non si superi l’ammontare di cessioni annuali in quel Paese membro della UE di euro 100.000 od il minor limite posto da quello Stato per questo genere di operazioni. L’elenco di tali limiti è rilevabile cliccando qui.

Ove nel periodo di monitoraggio annuale tale limite sia superato, il venditore italiano sarà costretto ad identificarsi ai fini Iva in quel Paese intracomunitario ed ad adempiere agli obblighi Iva di quello Stato, applicando la loro Iva interna e non più l’Iva Italiana sulle cessioni di beni avvenute tramite commercio elettronico.

Anche per i volumi inferiori a questi limiti resta una facoltà per il cedente Italiano di applicare quest’ultimo regime (quello interno di ciascun Paese dove si venda), ma è evidente l’ovvia difficoltà organizzativa di questa scelta, soprattutto per i venditori più piccoli.

B) Cessioni verso clienti domiciliati o residenti fuori dall’Unione Europea

In questo caso la distinzione tra clienti business o privati perde di utilità, in quanto la cessione con spedizione a cura del venditore sarà all’esportazione in entrambi i casi e la fattura sarà emessa senza applicazione dell’Iva in quanto “Non imponibile ad Iva ai sensi dell’art. 8, lett. A, D.P.R. 633/72”.

E’ in questi casi bene ricordare che la conservazione della prova di avvenuta esportazione dovrà essere tassativamente raccolta mediante stampa dal sito dell’Agenzia delle Dogane dell’esito dell’interrogazione MRM proveniente dalla copia della bolletta doganale di esportazione che il vettore restituirà al venditore dopo aver espletato le formalità doganali di esportazione.

Alcune differenze sono previste nella prova di esportazione nel caso di utilizzo del servizio postale quale vettore.


Dopo aver esaminato alcuni elementi dei principali profili Iva relativi al commercio elettronico indiretto, rammentiamo che le problematiche e le casistiche possono essere estremamente più complesse, coinvolgere anche triangolazioni (dropshipping) intra ed extracomunitarie. Pertanto un attento esame di operazioni più complesse di quelle descritte è estremamente consigliato.

Contattaci per una consulenza sulla Tua problematica di commercio elettronico o per impostare o revisionare il tuo e-commerce sotto il profilo della regolarità fiscale. La nostra esperienza in questo settore può fare la differenza.



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